IL TEMPO PERSO

Ingegnere del tempo perduto”: mi è sempre piaciuto il titolo che Pierre Cabanne ha assegnato alle sue conversazioni su e con Marcel Duchamp.

Perché perdere il tempo è ricomporlo nella sua fluidità. E ricomporre il tempo è ricomporre l’essere. Per questo io gioco, sperperando il tempo dentro un tempo improduttivo.

Daniela, una persona importante per me, mi aveva regalato l’anno scorso un appunto, scritto sul retro di un foglietto, di quelli che si tengono accanto al telefono per scarabocchiare mentre si parla. Sul fronte, immerso nei segni, c’è il mio numero di telefono; la traccia di un incrocio in cui ci siamo trovati a lungo insieme a sperperare il tempo.

Sul retro è scritto: “Noi siamo quelli che, il tempo perso produce sempre un valore! Daniela

Questo foglietto vaga ancora sulla mia scrivania.

Ho pensato di farne un lavoro:

ricalcare il testo di foglio in foglio per un’intera risma di carta, ovvero 500 fogli. E continuare questa scrittura di ricalco, inutile, per 500 risme di carta. (Forse la scrittura, di ricalco in ricalco, si “sgranerà” scavando nel messaggio una sorta di negligenza, la negligenza del gesto)

Abbandonare ogni risma in 500 punti diversi di una città a me molto cara, Berlino (un berlinese mi diceva tempo fa: “Berlino non è, diventa”), in modo che chi vuole possa prendere e portarsi a casa un foglio, la testimonianza di uno scarto temporale.

In ogni foglio è impresso il “vuoto” di una “casetta”. Una forma/non forma su cui sto lavorando da tempo, abbastanza per caso, ma che per caso rimanda alla Domus romana, il luogo dell’Otium.

Il “vuoto” taglia il testo -che in parte deve essere inferito- come un silenzio, la condizione che consente di toccare il corpo dei suoni.

Ermanno Cristini 25/07/2010

 

In: Cecilia Guida, The archive of forgotten ideas, A certain number of books, 2013